Con il dramma "Fallout" si conclude un anno di volontariato in carcere

Protagoniste le persone recluse nella Casa Circondariale di Paola. Attori di "Fallout" il 20.12.2019

Una tavolozza di colori disegnati da tutte quelle emozioni che solo il teatro in carcere può destare. Sono quelle che mi porterò sempre nel cuore insieme ai sorrisi e alle speranze dei detenuti che mi hanno affiancato in quella che per me è stata una vera e propria sfida. Pedagogica, concettuale, comunicativa, ma soprattutto esistenziale perché ho dovuto mettermi alla prova in un'attività nuova, quella di scrivere la sceneggiatura e ricrearla sul palco come regista.

È stato anche il banco di prova di un anno di volontariato in cui mi sono interfacciata con un gruppo non sempre stabile e duraturo. Tante le attività svolte, previste dal progetto di Cittadinanza e Costituzione “Nella memoria la nostra identità”, proposto per conto dell’Istituto calabrese per la Storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (IcsaIc), a cominciare da approfondimenti sul recupero della memoria storica. Ma poi ci siamo confrontati con la letteratura, la sociologia, l’arte, la cinematografia, la scrittura e la lettura creativa. Diverse attività e metodologie con l’obiettivo di andare incontro alla domanda di autostima delle persone ristrette. Dalla storia e, soprattutto, dalle testimonianze sulla Shoah ci siamo introdotti nelle problematiche legate al disimpegno morale, alla creazione del consenso pubblico e degli stereotipi. 

 

Il testo di Salvatore Brusca “Fallout. Dannati e redenti nell’era dell’antropocene” (Ed. Santelli) ha offerto la possibilità di approfondire le responsabilità umane rispetto ai problemi climatici e ambientali. Così abbiamo deciso di portarlo sulla scena del teatro presente nel carcere. Ho rimaneggiato il testo cercando di conservarne il messaggio, il senso, la stessa trama, inserendovi figure nuove ed escamotage che ne producessero un maggiore impatto visivo.

Una scelta, quella della rappresentazione teatrale, che ha aperto la strada a nuovi confronti e riflessioni, al contributo importante di Roberto Pititto, medico dirigente dell’Asp, presidente dell’Asmev Calabria e cultore di teatro, di Mariella Fornario dell’associazione socio-culturale “Piergiorgio Frassati”, di Maria Antonietta Abastante dell’associazione “Compagnia della rosa”.

Il teatro in carcere porta con sé un valore aggiunto per le dinamiche che si sviluppano nel gruppo, per la condivisione e il superamento di conflittualità. È il luogo dell’invenzione creativa e della finzione e paradossalmente, propria attraverso, l’invenzione creativa e la finzione, diventa luogo di autorealizzazione, di resilienza, di autoapprendimento. Spero che abbia anche occupato un vuoto emotivo che ciascuno di noi si porta dentro, ma anche quel vuoto determinato dalla restrizione e da tutti quelle emozioni negative che accompagnano il reato.

Nel dialogo abbiamo cercato di creare una bolla di libertà. Non so se ci siamo riusciti pienamente, ma è stato un tentativo. Abbiamo veicolato anche valori, contenuti, speranze. Forse è stato solo un sussurro, una goccia, una sillaba nell’alfabeto della condivisione, il mio augurio è che sia stata un’esperienza nella speranza. Come naufraghi di questo mondo così complesso cerchiamo di dare un senso alla nostra vita. E l’incontro nel teatro favorisce questa consapevolezza. Credo che abbiamo raggiunto una tappa di rielaborazione nelle tematiche legate all’impegno morale anche se non conclusiva.

 

La direzione mi è stata data da alcuni fari di cui non avrei potuto fare a meno. A cominciare dalla nostra Costituzione, da quelle parole dell’art. 27 che sembrano incise sulla fredda pietra e che solo noi, come società civile, possiamo far diventare vive cominciando creando spazi di espressione in cui si abbandonano stereotipi e luoghi comuni. Bisogna cambiare la percezione pubblica di chi è detenuto. Il reato non sostituisce, infatti, la globalità della persona umana e questo possiamo capirlo solo se come società civile ci impegniamo a far emergere attraverso azioni concrete la verità di questo meraviglioso articolo della nostra Costituzione improntato su un'idea di giustizia riparativa e sulla speranza della pace civile.

 

Francesca Rennis