Calabria madre d'Italia

Il poema storico di Giovanni Forestiero

La storia della Calabria in rima poetica. Ci ha pensato Giovanni Forestiero con la sua ultima fatica letteraria. Cantore della Calabria e delle sue bellezze, dagli anni ’90 pubblica poesie dando voce alla memoria, incominciando da quella a lui più prossima, quella di Cetraro, il paese in cui vive e opera attraverso diverse iniziative culturali anche come vicepresidente della pro loco “Civitas Citrarii”.

 

Dunque la storia della Calabria in rima poetica, un poema che rispecchia il pensiero di un amore profondo per la sua terra: “Ma perché forse la Calabria non è poesia?” -  sembra, infatti, voglia dirci Forestiero. E di questo poema protagonista assoluta è la Calabria, le cui estremità meridionali, secondo un’antica tradizione, dovevano chiamarsi Italia, da cui nel tempo prese il nome l’intera penisola. Un sentire che rende solido lo stare e il restare fondato sulla ricerca delle proprie radici.

Quello che Forestiero ci propone è un viaggio in prospettiva storica tra i luoghi che non sono rovine, ma pietra viva che racconta atmosfere ed eventi antichi. Forestiero raccoglie questo racconto che diventa una poesia itinerante o meglio un racconto viandante. Esprime un “sentimento del luogo”.

Possiamo pensare che viaggiare sia in antitesi al restare, ma questo viaggiare tra il luoghi della memoria rientra in quella sorta di resilienza del restare, un prendersi cura delle radici, e più che un’antropologia del restare nel senso di Vito Teti che si traduce in racconti del vivere tra i luoghi (riti e usi e consumi) e nelle erranze della contemporaneità, potremmo pensare ad una ricerca dei luoghi identitari e lo fa presentando il “luogo” nella sua profondità spaziale e temporale. “Quel” luogo vive nella nostra contemporaneità, non è muto, parla; e Forestiero sembra esaltare questo legame profondo con la propria terra calabra (quasi nella forma del contatto corporeo) come un cordone ombelicale affinché qui (ed ora) possiamo ritrovare il senso del nostro agire umano. In questo vi possiamo ritrovare la bellezza, la fatica, l’etica dell’erranza che è insita in questa tenace e lungimirante ricerca poetica dove il peregrinare, appunto, si fonda con il restare.

“Calabria Madre d’Italia” è un poema vero e proprio che inneggia le tinte storiche e ambientali della regione da cui proviene il nome stesso di “Italia”. I tratti epici ne ripercorrono le diversità anche con chiari fini educativi. Lo evidenzia nella presentazione al testo il vescovo della diocesi di San Marco Argentano-Scalea, mons. Leonardo Bonanno, ma anche mons. Ermanno Raimondo che oggi sarà relatore principale.

Il testo, curato nei particolari, è stato scritto in oltre dieci anni e si dispiega narrando le vicende calabresi da una provincia all’altra, lambendo i territori di Cosenza, Catanzaro, Crotone, Reggio Calabria, Vibo, come può fare un fiume che scorre dai monti alla pianura. L’indice ha un chiaro intento didascalico per cui si può risalire immediatamente alla pagina dedicata alla storia di un paese o città.

Il libro è stato presentato ad un pubblico numeroso e attento il 30 giugno 2017 presso la Colonia S. Benedetto di Cetraro dal presidente della pro loco, Ciro Visca, seguito dagli interventi di Antonello Grosso La Valle, consigliere nazionale Unpli, dal sindaco di Cetraro Angelo Aita, dal consigliere regionale Giuseppe Aieta.

 

 

“Ogni territorio in quanto luogo incorpora dunque il concetto di tempo e di lunga durata; ha una identità, un”anima”, un “genius”: in ogni luogo ci sono delle “dominanze” temporali che ne plasmano durevolmente il carattere”. Questo ci dice in un classico del localismo consapevole Alberto Maghnaghi, Il progetto locale, (2000). Il tentativo di Forestiero è stato proprio quello di riconsegnarci questo carattere, quest’anima, questo genius. Penso che dovremmo essergliene tutti grati e che il testo possa, e debba, trovare gli ascolti che merita.



Annotazioni: Si è ipotizzato che il nome derivi dal vocabolo Italói, termine con il quale i greci designavano i Vituli (o Viteli), una popolazione che abitava nella punta estrema della nostra penisola, la regione a sud dell’odierna Catanzaro, i quali adoravano il simulacro di un vitello (vitulus, in latino). Il nome significherebbe quindi “abitanti della terra dei vitelli”.

Esistono varie leggende sul personaggio di Italo, vissuto, secondo il mito, 16 generazioni prima della guerra di Troia e re del popolo degli Enotri. Da lui deriverebbe il nome Italia: dato prima alla regione corrispondente al suo regno, ovvero quasi tutta la Calabria ad esclusione della zona settentrionale, si estese successivamente a tutta la penisola (fino alle attuali regioni di Toscana e Marche) come narrano TucidideAristoteleAntioco di Siracusa e StraboneRe Italo condusse gli Enotri da una vita nomade ad un popolo stabile che si stanziò nell'estrema propaggine delle coste europee, nell'attuale istmo di Catanzaro nell'omonima provincia delimitata rispettivamente ad oriente dal golfo di Squillace e ad occidente dal Golfo di Sant'Eufemia. La capitale del suo regno era, secondo StrabonePandosia Bruzia, oggi da identificare probabilmente con la città di Acri.

 

Secondo quanto ci racconta Strabone, dei confini dell'Italia parlava già Antioco di Siracusa (V secolo a.C.) nella sua opera Sull'Italia, il quale la identificava con l'antica Enotria. A quel tempo si estendeva dallo stretto di Sicilia, fino al golfo di Taranto (ad est) ed al golfo di Posidonia (ad ovest). In seguito, con la conquista romana dei secoli successivi, il termine Italia venne identificato con i territori compresi fino alle Alpi, comprendendo, pertanto, anche la Liguria (fino al fiume Varo) e l'Istria fino a Pola. Di fatto tutti i suoi abitanti furono considerati Italici e Romani. (StraboneGeografia, VI, 1,4. StraboneGeografia, V, 1,1)